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Il punto di vista di Managers e Formatori - 3

Terza Parte

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Il punto di vista di Managers e Formatori - 3

Questa Sezione pur essendo dedicata agli Imprenditori Sardi accoglie eccezionalmente lo straordinario contributo fornitoci dal portale E-SCHOOL

I maggiori Managers e Formatori italiani rivelano le doti e le strategie che li hanno portati ad ottenere i più alti risultati nel loro settore. Nelle interviste rilasciate al portale E-school.it dal 2001 ad oggi sono contenute tutte le ultime tendenze di un mondo in continua evoluzione ed i punti di vista di chi questa evoluzione la determina. Li abbiamo raccolti in un articolo in quattro parti di cui presentiamo di seguito la terza (la seconda è disponibile qui).

di Eleonora Cipollina


Che il background formativo sia passato in secondo piano non vuol dire, però, che non resti necessario. In quest’ottica, i manager sembrano dare grande importanza alla specializzazione fin dai primi anni di studio: «l'attuale situazione del mercato del lavoro non depone certo a favore dei tuttologi. La specializzazione diventa un elemento importante da spendere con le aziende che, spesso, sono alla frenetica ricerca di figure adatte alle loro esigenze», osserva Stefano Spaggiari, A.D. di Expert System S.p.A., nell’intervista del 2003. «Oggi la formazione specialistica deve iniziare prima della laurea e del diploma. E’ opportuno integrare lo studio, anche al liceo, con l’apprendimento dell’informatica e delle lingue straniere», suggerisce Stefano Maruzzi, Country Manager di MSN.it, nel 2001. Macino reputa che «studiare sia fondamentale ad ogni età, ma studiare tante cose diverse senza obiettivi genera solo confusione ed aspettative di guadagno infondate».

La specializzazione, però, presuppone una dote spesso mancante ai giovani, cioè le idee chiare sul proprio futuro e sulla professione da imboccare, in base alla quale programmare il piano di studi. Ma rassicura a questo proposito Elena Henny: «Credo che, se una persona ha determinazione e voglia di fare, può arrivare ovunque senza bisogno dei titoli di studio. E’ chiaro che oggi la specializzazione è sempre più richiesta, per cui più si riesce ad investire su un settore, più si hanno opportunità di avere successo», ma «se una persona non ha ancora le idee chiare quando entra nel mondo dell’Università e queste idee via via si schiariscono, il mio consiglio è di rivolgersi, anche a costo di cambiare indirizzo, verso i propri interessi e investirci il più possibile. O, se si ha già una laurea, di fare corsi di formazione, partecipare a master o corsi di specializzazione, per indirizzarsi verso quello che poi è diventato l’interesse principale».

Persino uno come Federico Batini, fondatore e Direttore di Thélème, che di titoli di studio ne ha a bizzeffe, appoggia la formazione alternativa: «Per fortuna nel mondo delle professioni, anche in Italia, iniziano timidamente a farsi strada le competenze, le capacità dei soggetti: una laurea non sempre è in grado di dimostrare che una persona sappia o non sappia fare una cosa. Consiglio senza dubbio di formarsi in modo continuo, non necessariamente attraverso percorsi di istruzione formale» (2005).

Molti altri si associano con lui nel ritenere la continuità un presupposto fondamentale per l’efficacia della formazione. Così riassume il segreto del successo Ruffoni: «Credo che per ottenere ciò che si desidera, per raggiungere un adeguato grado di soddisfazione personale e professionale, occorra non smettere mai di formarsi e d’imparare». Già nel 2001 Massimiliano Sanna, Content e Web Site Manager di Jobpilot, affermava: «Nelle migliori imprese la formazione è gestita direttamente dall’azienda, ma deve essere anche e soprattutto una preoccupazione personale, considerando che il background culturale può essere utile nel momento in cui si tratta di valutare le diverse prospettive di carriera». Quali, per esempio, il passaggio dal settore tecnico a quello strategico con il crescere delle responsabilità, quando, come dice Ainio, «sarà sempre più necessario avere un profilo “rotondo”».

C’è anche chi, come il Dirigente di Bernabé Group Mauro Rosso, dopo sei anni spesi all’interno di una grande azienda come la FIAT, torna sui banchi di scuola per frequentare un corso di General Management, confidando: «Il ritorno alla teoria dopo un’esperienza sul campo è stato molto importante e lo consiglierei a tutti i giovani avviati verso una carriera direttiva». E rimarca l’importanza dell’apprendimento sul posto di lavoro: «L’azienda dà la possibilità di stare vicino e lavorare con persone di grande competenza e valore; il mio consiglio a questo proposito è quello di ascoltare molto e imparare dalle loro decisioni sul campo» (2002).

Del life-long learning ha fatto una bandiera Giovanna D’Alessio, che dopo la lunga serie di esperienze che compongono il suo impressionante CV, dichiara ancora: «Naturalmente non mi fermerò qui. E’ fondamentale essere su un percorso formativo continuo. Secondo me i fattori di successo saranno la capacità di apprendimento continuo dell’intera struttura e la creazione di un ambiente lavorativo che faciliti la collaborazione tra individui e team e l’assunzione di responsabilità e rischi a tutti i livelli. Sarà sempre più necessario sviluppare i talenti e il potenziale dei singoli individui per una migliore performance».

Interessante notare anche che al momento della domanda “Quali competenze ricerca per la sua azienda?”, tutti finiscano quasi col glissare, appunto, sulle competenze tecniche e il titolo di studio: solo alcuni imprenditori all’epoca operativi nella New Economy citano qualche figura specializzata e pochissimi altri danno importanza al curriculum scolastico, come Felician. Fondamentali per tutti quanti, invece, sono le cosiddette competenze trasversali: quelle che consentono di operare con agilità all’interno di un contesto di lavoro e, viceversa, di plasmare il contesto stesso in modo che faciliti lo svolgimento delle attività e ne renda gradevole l’esercizio, finendo con l’aumentare la produttività. Competenze quali, indica Batini, «le capacità di lavorare in gruppo, di integrazione della prospettiva di genere e di valorizzazione delle diversità, capacità di autovalutazione e di valutazione, abilità di tipo gestionale e relazionale, competenze manageriali, di problem solving, di analisi del contesto organizzativo, ecc.». «Credo che diversificare sia altrettanto importante - testimonia Marturano - sono uno strenuo sostenitore e praticante delle esperienze lavorative che sono solito definire “sportive”, ovvero di quei percorsi che privilegiano il lavoro di squadra, all’interno di un team dinamico; sono convinto che questo tipo di approccio con la realtà lavorativa sia l’unico a dare una visione della stessa a 360º». Felician assicura di scegliere «sempre persone giovani, sotto i trent’anni, che mostrino una forte motivazione al lavoro di gruppo in una realtà dinamica. E anche una certa prontezza di riflessi e una certa velocità, perché in una società moderna, veloce, questo serve».

Scende nello specifico Fazi: «La competenza chiave è la capacità di gestire il cambiamento. Alla base di questa stanno la flessibilità e l’apprendimento. Grazie a queste capacità si riesce a generare nuove opportunità, risolvere i problemi, gestire il tempo e le proprie risorse personali in modo efficace. Oggi si parla continuamente di leadership, che non è che una particolare combinazione di diverse competenze, in un’alchimia assolutamente costruibile nel tempo e con l’esperienza. Si riferisce prima di tutto alla capacità di gestire il proprio sé ed il proprio ruolo con efficacia, per poi basarsi sulla capacità di gestione e di guida degli altri. Una buona comunicazione e la capacità di relazionarsi con i propri interlocutori con successo e con efficacia, l’abilità nel supportare e accompagnare le persone verso una maggiore consapevolezza e verso la migliore performance, la competenza nel creare e costruire con chiarezza e precisione i propri obiettivi, sono il mix di successo per ogni percorso professionale».

Insomma, le competenze da possedere sono tante, ma per fortuna tutte acquisibili. E alla richiesta di suggerimenti sul tipo di formazione da seguire e le esperienze da fare, tutti mettono al centro gli interessi del singolo. Alessandro Di Priamo, Trainer di Hi-Performance, esorta anzi ad «evitare di fare scelte dettate dalla necessità (anche se all'inizio si lavora spesso per necessità) e seguire il talento che ogni giovane avverte in sé. Questa è una strada difficile che regala però le soddisfazioni maggiori, donandoci persone felici di fare il lavoro che fanno» (2004). Andrea Accorinti raccomanda di «impegnarsi a fare ciò che si desidera, con tutte le proprie forze. Non accontentarsi ma costruire il proprio futuro con tutti i mezzi, impegnarsi a trovare il lavoro che fa per sé e farlo bene (2005)». Concisa Marisa Muzio, fondatrice, Presidente e AD di Psicosport Srl.: «Il mio consiglio è studiare, studiare, studiare e frequentare corsi di formazione uniti all’esperienza sul campo. La cosa più importante, però, è: non smettere mai di sognare» (2004). Energico, Formisano dà la sua opinione con la carica che lo contraddistingue: «Se volete vivere una vita al di sotto delle vostre possibilità, partite da quello che il mercato vi offre. Se volete vivere una vita straordinaria, con un lavoro che vi soddisfi in pieno, partite da voi stessi. Dai vostri talenti, dalle passioni, dalle capacità. E poi cercate quello che fa per voi!».

Laura Colombo, fondatrice e Presidente di ETAss, incoraggia a «scegliere una professione coerente con le proprie capacità, aspettative, e propensioni: è un peccato impegnare otto ore al giorno in qualcosa che non fa per noi» (2003). Ciascuno deve «conoscere qual è il vero contributo che desidera dare a se stesso, alla sua vita ed al mondo», prosegue Fazi. «Significa studiare, essere curiosi, con modestia apprendere dagli altri, lavorare con passione, osservare la realtà e cercare di comprenderla e… realizzare ogni giorno qualcosa di importante. Ogni cosa “deve avere un senso e deve fare la differenza”, questo è il mio motto e quello del team di U2coach».

Più pragmatico Batini: «Consiglierei una formazione di base solida, di recuperare magari alcune carenze, buchi, falle nella propria istruzione, poi di indirizzarsi se non verso una professione almeno verso un settore ed anche di concedersi alcune esperienze (magari mentre si completa la formazione) attraverso stage, volontariato, associazioni, di non accontentarsi e continuare a guardarsi intorno: la mobilità interna al mondo del lavoro è sempre più semplice della penetrazione dall’esterno. Consiglierei di non sentirsi mai arrivato, di leggere molto, di mantenere intatta la curiosità, di interessarsi, di seguire strade pulite, senza cercare scorciatoie o facilitazioni, di dedicare del tempo a conoscersi e a crescere. In poche parole gli darei il consiglio di farsi un personale progetto di sviluppo». E qui si riallaccia Rauch, toccando il tasto dolente: «Per i pochi che hanno un obiettivo chiaro, fare un piano strategico e controllare regolarmente lo stato di avanzamento. Per i molti che non sanno bene cosa fare “da grandi”, rompere gli indugi e scegliere anche a caso: spesso, “l’appetito vien mangiando” cioè più conosciamo un argomento, più ne vogliamo sapere, più ci addentriamo in un lavoro, più ci piace».


Continua…

a cura di: Eleonora Cipollina

pubblicato il: 08/12/2014

Indagine Formazione italia, eleonora cipollina,

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